Napoli, 22 luglio 2014 -L’antivigilia del Natale 2011 fu un giorno felice per Alfonso Papa. Dopo un mese ai domiciliari, l’ex parlamentare, nonché magistrato sospeso dal servizio, che la pubblica accusa ritiene ancor oggi in organico alla loggia P4, quel giorno lasciò i domiciliari. Prima ancora, era stato in cella con l’accusa, tra le altre, di essere un massone. Era accusato di fornire notizie coperte da segreto a imprenditori preoccupati del loro coinvolgimento in inchieste giudiziarie, in cambio di soldi, viaggi e gioielli per sé, la moglie e le amiche. Uscito di cella, cominciò a dar battaglia per i diritti dei carcerati. A distanza di due anni e sette mesi da quel Natale, Papa se ne torna in cella, nome eccellente coinvolto nell’ultima inchiesta della procura di Napoli, che ha fatto finire ai domiciliari anche il padre, Giovanni Papa. Indagine relativa a presunti favori, “in cambio di denaro e altre utilità”, a tutto vantaggio degli imprenditori Angelo e Roberto Grillo, ritenuti vicini al clan camorristico dei Belforte. A Papa e relativo papà, inevitabile il gioco di parole, vengono contestati più episodi di concussione per induzione con l’aggravante di aver agevolato proprio il clan Belforte. Gli imprenditori Grillo operano nel settore dei servizi di pulizia e sono stati entrambi arrestati in passato per altre vicende. Angelo l’hanno (ri)arrestato ieri per la seconda volta nell’ambito dell’inchiesta su una speculazione edilizia a Marcianise: tra le inchieste che lo hanno visto coinvolto, quella sugli appalti concessi dall’Asl di Caserta alle sue ditte. Ai fratelli imprenditori, Papa avrebbe favorito l’aggiudicazione di appalti per servizi di pulizia a Trenitalia, Consip e nel porto di Cecina (in provincia di Livorno). Non solo, in un’occasione sarebbe intervenuto affinché il Consiglio di Stato cancellasse la decisione del Tar Campania che, in prima istanza, aveva respinto il ricorso contro l’interdittiva antimafia disposta dalla prefettura di Caserta contro la società dei Grillo. Giovanni Papa, dalla sua, per conto del figlio avrebbe materialmente riscosso somme di denaro pagate dai Grillo, ma avrebbe anche accompagnato i due imprenditori negli uffici di Trenitalia per pratiche relative ad alcuni appalti. E non è finita: all’ex parlamentare azzurro viene inoltre contestato il reato di induzione a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, per aver promesso alla sua segretaria utilità di vario tipo in cambio del silenzio con gli inquirenti. Nel ginepraio di accuse, non manca il peculato per l’indebito uso, per nove anni, da parte sua e della famiglia, di un’auto della Finanza con militari che fungevano da autisti, con una spesa per l’Erario di circa 350mila euro. E’ vecchia storia, ma il gip ha ora ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico di Papa anche per questa accusa.
(giuseppe porzio)
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